Cosa c’è dopo

Quando Simon Vaughn entrò in quella casa un fortissimo odore di aglio lo investì, violentandogli i sensi e facendogli lacrimare gli occhi. Con una mano si stropicciò quello sinistro per togliere la lacrima che gli annebbiava la vista, quindi guardò verso la signora.
Era anziana, più anziana di quello che si era aspettato sentendo la sua voce al telefono. Aveva due grandi occhi corrucciati in una strana e buffa espressione perennemente sorpresa, di un azzurro stinto, quasi grigio oramai. Il grosso naso da fattucchiera quale era sostava rosso e adunco nel mezzo del volto.
“Lei dev’essere quel signore che ieri mi ha chiamato… Simon Vaughn giusto?” parlò con una voce dal tono mistico e profondo.
“Si sono io, può aiutarmi?”.
“Certamente signor Vaughn”.
Simon era un uomo sulla quarantina, i capelli un tempo biondi cominciavano a schiarirsi e diventare canuti, gli occhi verdi invece rimanevano di quel colore vivace e intelligente che avevano sempre avuto. Con il suo metro e ottantadue di altezza sovrastava completamente l’anziana medium.
“Risolvere quel problema di cui mi ha parlato per telefono, le costerà cinquanta dollari” disse la vecchietta.
“I soldi non sono un problema”.
E non lo erano davvero per lui. Era un famoso scrittore, aveva cominciato quasi per gioco oramai vent’anni prima e ora vantava un bel numero di successi. Ed un bel conto in banca.
I soldi erano la sua ultima preoccupazione. Quello che voleva erano risposte, una in particolare.
“Mi segua signor Vaughn… posso chiamarla Simon?”
“Faccia come vuole”.

Entrarono in una stanza debolmente illuminata da candele rosse e abitata dall’odore dell’incenso appena bruciato.
C’erano sempre candele ed incenso, in ognuna della stanze “magiche” in cui era entrato.
“Si sieda Simon” mise una particolare enfasi sulla pronuncia del nome, come a cercare una sorta di confidenza che in realtà non c’era.
Al centro esatto della stanza c’era un piccolo tavolino, con una serie di libri sopra, libri che Simon era sicuro, quella donna non aveva mai neanche sfogliata con cura. Non che sfogliarli potesse servire a qualcosa.
Si accomodò sul pouf sistemato vicino al tavolino. In tanti anni non si era mai abituato alla strana sensazione di sedersi su un pouf. Gli sembrava di essere sospeso a pochi centimetri da terra su una specie di nuvoletta di cuoio. Non gli piaceva, preferiva di gran lunga le care e vecchie sedie.
“Allora Simon” la medium si accomodo a sua volta e cominciò immediatamente a trafficare con i libri e le carte “con chi vorrebbe parlare?”
Vaughn la scrutò attentamente, capì che quell’incontro si sarebbe rivelato perfettamente inutile.
In realtà l’aveva capito già il giorno prima, scorgendo il piccolo annuncio sul giornale, ma ora avendola davanti mentre con gli occhi sorpresi consultava il suo ridicolo libro non ebbe più dubbi.
“Con mio nonno… è morto nel 1976” poi fissandola con più attenzione aggiunse “non era un credente… le crea qualche problema?”
Nella sua esperienza aveva appurato che molti medium si rifiutavano di interagire con anime di morti che in vita non avevano creduto alla religione. Li consideravano indegni.
“Non c’è nessun problema” rispose invece lei, e si schiarì la voce.
“E’ pronto?”.
“Pronto” confermo Simon.
Lei chiuse gli occhi (lui se li immagino ugualmente curiosi e spiritati sotto le palpebre tinte di viola dall’ombretto) e comincio a parlare in un modo talmente buffo che Simon dovette mordersi il labbroinferiore per non scoppiare in una risata.
“Eccolo” annuncio lei con grande gioia. “Eccomi” si corresse subito dopo.
“Nonno?” chiese fingendo stupore e meraviglia.
“Sono io, era cosi tanto tempo che non ti vedevo… come sei cresciuto…” la voce della donna era assurdamente camuffata a voler imitare quella di un uomo.
“Se tu nonno Bruce?” chiese lui sempre più contento.
“Si! Simon volevo proprio parlare con te …”
Vaughn si alzo e comincio a trafficare con la tasca posteriore dei jeans. Quindi estrasse il portafoglio.
La medium cercò di tenere lo sguardo fisso sul volto di lui ma per un attimo la sua attenzione venne attratta dalla mano e dall’oggetto che l’uomo aveva estratto dalla tasca. Un attimo soltanto. Poi riportò gli occhi stinti su quelli verdi di lui.
Simon prese una banconota da cinquanta dollari e la mise sul tavolo, quindi si diresse verso la porta per andarsene.
“Cosa fai ?” chiese lei continuando nella sua ridicola imitazione di voce maschile.
“Mio nonno si chiamava Frank” rispose chiudendosi la porta alle spalle.

Mentre metteva in moto la Jaguar, ripensò a quell’incontro, così uguale a tutti gli altri. Tutti quelli che in quasi otto anni aveva affrontato.
C’era sempre qualche nuovo medium sugli annunci del giornale, c’era sempre qualcuno che diceva di poter parlare con i morti.
In otto anni lui non aveva trovato nessuno che dicesse la verità.
Con il tempo si era fatto via via sempre più scaltro, aveva usato tante volte la tecnica del nome fasullo, altre volte invece aveva detto ai medium che si fingevano impossessati dall’anima di Frank che il suo cane aveva sentito tanto la sua mancanza.
Suo nonno non aveva un cane, non li sopportava, così come non aveva un gatto, non sopportava nemmeno quelli. Suo nonno odiava gli animali.
Secondo Simon suo nonno odiava anche buona parte delle persone che lo circondavano, ma di una cosa era assolutamente sicuro. Nonno Frank aveva un debole per lui.
Forse perchè erano simili, “uguali” a sentir parlare sua madre. Entrambi molto chiusi, taciturni e con lo stesso sguardo furbo e color smeraldo. Passavano interi pomeriggi insieme, era come un padre per lui, che un padre non ce l’aveva mai avuto.
Viveva con sua madre, sua nonna e Frank. L’uomo che aveva ingravidato sua mamma era scappato subito dopo aver saputo che Simon sarebbe nato, abbandonandoli, e nonno e nonna si erano sempre presi cura di loro due.
C’era un rapporto speciale tra lui e il nonno, ed era vero che erano simili.
La gente che conosceva quell’uomo burbero e rude diceva di lui una cosa quantomai vera “parla poco, ma quando apre bocca dice il giusto”, e così era.
Simon aveva cinque anni quando sua nonna morì. Quel giorno Frank non disse nemmeno una parola, per tutta la durata della cerimonia, poi s’avvicinò a Simon e iniziò una conversazione che lo segnò per tutta la vita, qualcosa che ancora adesso lo ossessionava e a cui non aveva trovato risposta.

“Sai perchè le persone muoiono?”
Simon che aveva pianto per tutto il giorno dopo che sua madre gli aveva detto che la nonna era andata in cielo e che non l’avrebbero rivista più, scosse la testolina e fissò lo sguardo su quella faccia grinzosa.
“Perchè vogliono vedere cosa c’è dopo…” lo disse come liberandosi di un peso, poi prese per mano il bambino e l’accompagnò vicino ad una muricciolo dove si sedettero.
“Vedi Simon… quando si è giovani si è ancora entusiasti del mondo… delle persone… della natura, si hanno un sacco di cose da scoprire, da vedere, da capire” raccontava il tutto come se stesse spiegando una scienza esatta.
“Ma più vediamo e più dentro di noi cresce una domanda… cosa c’è dopo di questo? Qualcosa di più bello? Possibile? E se invece fosse qualcosa di più brutto? E intanto dentro di noi la curiosità cresce, come una pagnotta lasciata a lievitare” lo stomacò di Simon gorgogliò pensando alla pagnotta, poi ricordò che era sua nonna che faceva il pane in casa loro e lo colse un senso di vuoto che gli bloccò lo stomaco e ogni stimolo di fame.
“Il pane di alcune persone, dei più curiosi, lievita piu in fretta, per questo se ne vanno prima degli altri. Quello della nonna era pronto Simon… presto lo sarà anche il mio”, il bambino pensando solo alla prospettiva di perdere suo nonno e di non poter piu trascorrere le giornate con lui scoppio a piangere e l’abbracciò forte.
“Non piangere… adesso la sua curiosità è soddisfatta… lei sa cosa c’è dopo”, in quel momento Simon lesse su quel volto anziano e segnato dalle rughe, una strana espressione. Un espressione che sembrava invidia.
Nonno Frank era morto poco più di un anno dopo. Il suo pane era pronto per essere infornato.
Simon ricordò ogni parola del discorso fatto da Frank un anno prima e guardando la bara che conteneva le sue spoglie pensò che in fondo adesso potevano di nuovo essere insieme, lui e sua nonna. Forse.

Simon era cresciuto, era andato a scuola, si era diplomato e pochi anni dopo anche laureato.
Aveva conosciuto sua moglie Sarah e dopo due anni si erano sposati. Sarah aspettava un figlio. Brian il suo primogenito. Quello era stato il periodo più felice della sua vita.
I suoi racconti venivano pubblicati settimanalmente sullo “Storyteller” una famosissima rivista, e il suo compenso cominciava man mano a diventare generoso.
Poi nacque il secondo figlio. Jane, una bellissima bambina a cui diede il nome di sua nonna.
Inoltre ricevette risposta positiva alla richiesta di pubblicazione del suo primo romanzo “La notte dei Demoni” e firmò un contratto esclusivo con un famoso editore.
In tutti questi anni, la pagnotta di Simon era lievitata… sempre di più.
Aveva cominciato a chiedersi anche lui “Cosa c’è dopo?” può esserci qualcosa di più bello di questo? Di più bello dei miei due figli e di mia moglie?
Ma in quel periodo cosi felice la curiosità non era ancora abbastanza .
Quando arrivarono i primi assegni a più di quattro cifre, la curiosità di Simon aveva raggiunto un buon livello.
Brian e Jane avevano rispettivamente tre e due anni e il rapporto con Sarah andava a gonfie vele, ma lui sentiva come se mancasse qualcosa. Come se non potesse più mettere da parte quella domanda.
E così incominciò a spendere soldi in Medium e ciarlatani della peggior specie. Doveva parlare con suo nonno, doveva chiederglielo.
La cosa che nacque come un innocente e naturale curiosità si trasformò in ossessione.
Ogni mattina Simon consultava il giornale alla ricerca di pubblicità o delle inserzioni di fattucchiere, maghe e cartomanti, e quasi ogni mattina trovava un nuovo nome, una nuova falsa speranza.
In otto anni ne aveva consultati a centinaia, aveva lasciato loro diverse migliaia di dollari (non che ne sentisse la mancanza…) ma non aveva mai ottenuto risposta. Nemmeno uno di loro era stato in grado di metterlo in contatto con suo nonno.
I primi incontri l’avevano quasi convinto, era ancora un pivello e stava per farsi abbindolare anche dal più scarso tra i ciarlatani, poi col tempo era diventato sempre più furbo, aveva imparato a capirne i segreti, aveva imparato a smascherarli, tanto che ci aveva preso gusto.
Prima di presentarsi agli appuntamenti aveva già in mente quali trabocchetti utilizzare per fregare il millantatore di turno, e riuscivano sempre.
Con il tempo la sua attenzione si era spostata sempre più velocemente dalla sua famiglia e dal suo lavoro, ai vari espedienti che poteva utilizzare per divertirsi al prossimo appuntamento.
Ormai quasi sperava di non trovare nessuno in grado di farlo parlare con nonno Frank perchè amava troppo vedere l’espressione inebetita sul volto di quelle persone.
Però la domanda senza risposta fluttuava sempre nella sua mente, come un chiodo che si conficcava in qualsiasi altro pensiero. Non gli riusciva di essere felice con quel fastidiosissimo quesito.
E cosi aveva continuato per otto lunghi anni, deteriorando sempre di più il suo talento e il suo rapporto con la famiglia.
Amava ancora sua moglie (ed era sicuro che lei amasse ancora lui) e i suoi figli erano sempre la cosa piu importante che aveva, ma con il tempo quel forellino nella trama della sua felicita si era allargato sempre di più e aveva raggiunto dimensioni preoccupanti.

Parcheggiò la jaguar sul vialetto della villa, scese, chiuse lo sportello e inserì l’allarme.
“Ciao papà!” Jane gli era corsa incontro. Aveva dieci anni ora, sembrava una piccola Sarah in miniatura.
“Ciao piccola” rispose lui freddo abbozzando un sorriso.
“Sei tornato finalmente” Ed ecco la vera Sarah che lo accoglieva.
Di certo non a braccia aperte, sapeva dov’era stato.
“Jane và in camera tua” era piuttosto arrabbiata.
“Ma mamma…” cercò di replicare la bambina, poi spostò lo sguardò supplichevole sul padre.
“Vai” disse lui sorridendole ancora.
Quando la bimba si fu allontanata sarah si avvicino al marito.
Il viso imbronciato non sminuiva la sua bellezza, i capelli biondi e lisci splendevano sotto il caldo sole di Luglio, e i suoi severi occhi azzurri guardavano con rimprovero il marito.
“Sei stato da un altra di quelle streghe vero?” aveva preso abitudine a chiamarle cosi… streghe, e in effetti era quello che erano.
“Sarah non ho voglia di litigare…” e in effetti ne aveva poca.
Aveva poca voglia di litigare, poca voglia di uscire, poca voglia di scrivere, aveva soltanto voglia di spulciare il giornale alla ricerca di un altra medium.
“No Simon! Invece dovremo proprio litigare temo!”.
Simon capì che questa volta non c’era scampo.
“Ok! Bene! Allora cos’è che vuoi sapere?” partì tranquillo, senza ombra di rabbia. Non aveva alcun motivo per arrabbiarsi, non ancora.
“Voglio sapere perche non la smetti!”
“Di fare cosa?”
“Di fare cosa? hai anche il coraggio di fare il finto tonto?”
“Sarah perfavore…”
“Non voglio che passi il tuo tempo dietro a quelle scemenze Simon, devi smetterla!”
“Non è una scemenza…” non era la giornata giusta per litigare… non era di buono umore, non lo era mai da otto anni a questa parte in verità…
“Stammi a sentire…!”
“No! Stammi a sentire tu” la azzittì “Ti ho mai fatto mancare niente? A te e ai ragazzi?” ormai stava urlando “C’è forse qualcosa che non vi abbia comprato? Qualcosa che volevate e non avete ottenuto? Cosa ti manca sarah? Cosa ti manca per essere felice?” la guardò sapendo già la risposta.
“Ci manchi tu Simon…” la donna aveva cominciato a piangere.
“E’ vero possiamo comprare tutto quello che vogliamo, ma a me manca mio marito e ai ragazzi manca un padre… un padre che è troppo occupato a seguire la sua chimera, persino per prestare attenzione ai suoi figli!”
Lui stava zitto. Consapevole che sua moglie aveva ragione, ne aveva da vendere. Non diceva una parola.
I bambini erano affacciati a guardarli, la bocca spalancata per la sorpresa, anche se lui era sicuro che se avessero potuto avrebbero di certo appoggiato la causa della madre.
Sarah era una donna di indole calma e tranquilla ma così come il loro rapporto anche la sua natura nel tempo era cambiata. Adesso sulla soglia dei quarant’anni era decisamente combattiva e pronta a far valere le sue ragioni.
“Io… ti amo ancora come il primo giorno, ma devi scegliere.. o noi o la tua ossessione…” e mentre le lacrime gli bagnavano il bel viso si voltò e rientrò in casa, accorgendosi della presenza dei bambini e facendo una smorfia di dolore, aveva sempre cercato di lasciarli fuori dalle loro questioni personali. Li prese per mano e li accompagnò in camera loro.
Brian salutò suo padre con una rapida occhiata d’intesa.
Simon non ci fece caso, era ancora scosso per le parole di sua moglie.

Lui e Sarah non si parlarono più fino al mattino successivo, lui avrebbe voluto ma non sapeva proprio cosa dirle.
Non lo sapeva perche non poteva decidersi, avrebbe volentieri buttato via la sua ossessione per tornare ai bei tampi in cui loro tre erano felici, ma non poteva.
Se avesse potuto scegliere che ossessione sarebbe stata?
Quella mattina ricevette una telefonata. Brian rispose e poi gli porse il telefono “E’ per te papa”, si preparò all’ennesima ramanzina da parte dell’editore scocciato per il suo recente scarso impegno nel lavoro. Chissà magari anche lui gli avrebbe chiesto di scegliere.
Invece quella che sentì al ricevitore era una voce di donna.
“Il signor Vaughn?” una voce particolare, mistica e profonda come quelle che Simon era ormai abituato ad ascoltare da anni, la voce di una medium.
“Con chi parlo?”.
“Il mio nome è Misha Kristen, sono una medium”
“Aspetti…”
Si guardò intorno e decise di allontanarsi da quella camera in cui c’erano i suoi figli. Camminò fino a raggiungere il giardino, quindi parlò di nuovo
“Eccomi”.
“Ho una richiesta particolare, qualcuno vuole parlarle è… suo nonno Frank.”Gli occhi di lui quasi volarono fuori dalle orbite quando sentì pronunciare quel nome.
Se la telefonata gli fosse arrivata qualche anno prima probabilmente avrebbe abboccato come un allocco, ma non ora, nossignore. Non adesso che aveva avuto occasione di vedere tutti i trucchi che quelle persone spregevoli e ingannatrici avevano a loro disposizione
“Mi ascolti bene, non so chi le ha dato questo numero o chi le ha detto di mio nonno Frank, ma non provi più a chiamarmi… mai più mi sono spiegato?”.
“Non è uno scherzo Signor Vaughn, che lei mi voglia credere o no, l’aspetto questo pomeriggio alle 18:00 in punto…” gli diede un indirizzo, un indirizzo che conosceva bene.
Quando alle 17:00 si preparò per andare all’appuntamento Simon incrociò lo sguardo con quello di sua moglie.
Gli sembro di leggere in quegli occhi un accusa ben chiara “Hai deciso allora…”
Quegli occhi erano gelidi e lo giudicavano in modo freddo e spietato, Simon si ricordò quando in quell’azzurro cielo leggeva l’amore.
Prese l’auto e si diresse verso il luogo dell’appuntamento. La vecchia casa dov’era cresciuto.
La dimora dei suoi nonni.

Quando giunse in vista dell’abitazione i ricordi riaffiorarono come un fiore che sboccia. Ricordi di sua madre da ragazza, di sua nonna, del suo pane (mai più nella sua vita aveva mangiato un pane cosi buono), e il ricordo di suo nonno che lo portava a passeggio per la campagna circostante. Fu quasi sopraffatto dai sentimenti e per poco non si mise a piangere.
Poi qualcuno bussò sul vetro della Jaguar.
Era una donna di mezzaetà ma ancora molto bella. I capelli neri corvini gli cadevano ricci e vivi fin sotto le spalle, sulla testa portava una bandana arancione e grigia, grigia come quegli occhi che ora lo interrogavano da oltre il finestrino.
Lui scese e lei non battè ciglio, porse la mano per presentarsi e con una voce molto più bella di quanto lui ricordasse dalla precedente telefonata si presentò di nuovo.
“Misha Kristen”.
Saltarono le presentazioni (Simon le fece notare in modo burbero di non aver tempo da perdere) e lei lo scortò all’interno della casa.
“Come fa lei a sapere di me e di questa casa?” le chiese.
“Me ne ha parlato suo nonno” ripose lei.
Il viso di lui si contorse in una smorfia di scetticismo.
“Mi ha raccontato di un sacco di cose suo nonno Frank” riprese a parlare lei ignorando l’espressione dell’uomo “mi ha detto della sua infanzia… mi ha perfino raccontato la storiella del pane che lievita sà?” a questo punto un sorriso gli illuminò il bel volto.
Invece gli occhi di Simon si spalancarono, non aveva mai raccontato a nessuno di quella cosa.
“E mi ha detto della sua ossessione, del fatto che non riesce più a godersi la sua famiglia, il suo lavoro… ormai è troppo preso da quella domanda, mi sbaglio Signor Vaugh?”.
Lui fece no con la testa, la bocca era spalancata in un espressione di meraviglia.
Lei si sedette su una sedia, vicino al tavolino. Lo stesso tavolo su cui lui e nonno Frank avevano giocato tante volte a carte.
“Adesso lasci che mi metta da parte, infondo non sono io che voglio parlare con lei…”.
Simon non si sentì di fare obiezioni e stette in silenzio mentre lei chiudeva gli occhi.
Pochi secondi dopo li riaprì, non più grigi ma verdi, verdi come i suoi, come quelli di nonno Frank.
“Simon…” quella che sentì era la voce di suo nonno, non un imitazione, per quanto perfetta potesse essere un imitazione quella non lo era.
“Sei tu?” chiese lui, ma sapeva già la risposta.
Dopo più di trent’anni parlava di nuovo con suo nonno.
“Non provare a fare quei tuoi stupidi giochetti con me ragazzo…” disse la donna con la voce da anziano.
Ma Simon non ci aveva pensato nemmeno per un momento, era convinto che fosse lui non avea bisogno di giochetti.
“Nonno… ti ho cercato tanto…”
“Lo so, sciocco”
Poi colmo di gioia glielo chiese, gli porse quella domanda a cui solo lui poteva rispondere.
“Nonno… cosa c’è dopo?” quando gli uscì di bocca fu come essersi liberati da un enorme fardello.
I secondi che lo separarono dalla risposta furono lunghi e interminabili, una tortura cosi dolorosa e malata che ognuno di essi gli sembro un infinità.

Quando parcheggiò nel vialetto di casa e sua figlia gli andò di nuovo incontro per salutarlo lui scattò in avanti e la abbracciò forte, le riempì il viso di baci. Lei rise di gioia, come non faceva da anni e come un richiamo, le sue risate attirarono anche Brian che arrivò trotterellando allegramente. Simon accolse anche lui tra le sue braccia e lo baciò (nonostante lui sapesse che Brian atteggiandosi “da grande” odiava essere baciato dai suoi genitori), quindi arrivo anche Sarah.
Simon lasciò andare i due bambini che si scambiarono uno sguardo ugualmente felice e sorpreso, e prima che sua moglie potesse dire qualcosa la baciò.
Un bacio di quelli veri, con passione e con amore. La baciò come non faceva da anni.
Poi le sussurrò all’orecchio “Ho scelto”.
Quella sera cenarono in un bel ristorante e poi andarono al luna park.
I bambini sembravano scoppiare di felicità e il loro sorriso era più di quanto lui poteva chiedere in cambio.
Più di quella risposta, infinitamente di più.

“Niente che valga più dell’amore di tua moglie e dei tuoi figli” gli aveva rivelato suo nonno, sciogliendo quel sortilegio che da otto anni l’aveva fatto cambiare, l’aveva trasformato in un mostro.
E quando guardò negli occhi di sua moglie Sarah non gli importò “cosa c’è dopo” perché nell’azzurro di quel cielo leggeva di nuovo l’amore.

~ di Fabio su Maggio 18, 2008.

3 Risposte to “Cosa c’è dopo”

  1. UN finale alla “vissero tutti felici e contenti”…ti mancava. Cmq un bel racconto…l’ho letto tutto di un fiato. Interessante la storia del pane che lievita.

  2. Sconcertante la metafora del forno..

    Nb. errori ortografici 😀

  3. Corretto grazie della segnalazione.
    Ti sei appena auto assunta per correggere le bozze di un eventuale pubblicazione 😀

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