Pagina Dieci (.3)

3.

“Cristo… non è possibile, cazzo io ti ho bruciato” fissava il libro, e il libro fissava lui, con gli occhi di pelle nera e il sorriso del figliol prodigo che ritorna nella casa del padre.
Non ebbe bisogno di controllare la pagina quattro, sapeva che c’era, intuiva il suo veleno rosso. Sentiva l’odore del sangue.
“Non ce la faccio…” lo sguardo fisso nel vuoto, la testa che incredula si muoveva da destra a sinistra senza controllo, la lucidità mentale stava preparando le valige, se ne andava, e per sempre. Prima della partenza però sfogliando le fotografie mentali degli ultimi giorni d’incubo, ricordò qualcuno.
“Se dovesse succedere qualcosa di strano, se dovessi trovare un libro che ti insospettisce, chiamami a questo numero”, gli aveva dato un bigliettino e lui l’aveva buttato… che stronzo. Era la sua ultima possibilità quel vecchio sapeva qualcosa, forse poteva salvarlo, anzi doveva salvarlo. La sua mente posò le valige e si disse che tutto sommato poteva restare ancora un po’.

Non era stato facile recuperare il biglietto, era in fondo al cestino nella libreria, fortunatamente non lo aveva ancora mai svuotato. Le mani gli tremavano mentre componeva il numero, la saracinesca mezza aperta faceva passare poca luce di quella giornata che per lui aveva di nuovo smesso di essere calda, quella telefonata era l’ultimo disperato atto di una tragedia che stava per concludersi nel peggiore dei modi.
Il telefono all’altro capo squillo… una volta… due volte…
“Pronto…” una voce rispose alla chiamata, era un uomo.
“E’ lei! Si ricorda di me? Sono Will, il figlio di David della libreria…” Aveva un milione di cose da dirgli, e ancora più spiegazioni da chiedere.
“Si ragazzo… se mi hai chiamato immagino che il libro ti abbia trovato” fece uno strano verso, a metà tra una risata e un attacco di tosse.
“Lei sa qualcosa deve dirmelo… quel libro… mi perseguita”.
“Sei alla libreria?”.
“Si”.
“Non ti muovere” ed attaccò il telefono.
A terra Will appoggiò la schiena contro il legno della scrivania, lo aiutò a stare più comodo, e fermò il tremolio del suo corpo scosso dal terrore. Il tomo era proprio sopra di lui.
Quando timoroso e incerto aveva aperto la libreria per cercare il bigliettino, il libro era già lì, immobile sulla scrivania, fedele come un cagnolino che non vuole separarsi dal suo padrone. Aveva smesso di chiedersi come, aveva iniziato a domandarsi perché.
Perché aveva trovato quel libro?
Perché l’aveva lasciato incustodito condannando Susan?
Perché quel vecchio ne sapeva cosi tanto?
Non aveva riposta a nessuna di questa o delle altre mille domande che gli ronzavano in testa. Il libro canticchiava “Meno quattro Will, meno quattro…”.
Mezz’ora dopo il vecchio era lì. Ridotto ad un ombra.
Se già la prima volta che Will l’aveva visto, quell’uomo era una rappresentazione della massima bruttezza umana ora era come un cadavere ambulante, svuotato dell’anima.
Era dimagrito vistosamente, la pelle cadeva flaccida e senza vigore sul viso dove le occhiaie avevano dettato legge, le palpebre pesanti, gli occhi rossi chiedevano che gli fosse concesso almeno un po’ di sonno.
Quando entrò ne “L’Onda Letteraria” il suo primo sguardo non fu per il ragazzo biondo steso a terra, con la faccia una volta serena ed ora impaurita, ma a qualcosa sopra la scrivania. Si mosse con passi incerti, e fissò il tomo nero. Lo sguardo del condannato a morte che sfida il suo boia.
Will si alzò in piedi e stette a guardare, senza fare domande.
Il vecchio aprì il libro ma non lo sfogliò, sapeva dove doveva guardare, la prima pagina.
Il boia rispondeva al suo sguardo, placido ma estremamente minaccioso, affilava l’ascia con la quale avrebbe staccato di netto la testa al galeotto.
Poi lo richiuse, con una smorfia a metà tra sollievo ed agonia si voltò per affrontare il ragazzo.
“Non c’è niente da fare, cancella la parola speranza dalla tua mente, sei condannato… come me”.

Non era proprio quello che Will si aspettava di sentire, quella parola pesava come un macigno che legato ad una caviglia lo trascinava con sé sul fondo dell’oceano.
Sei condannato.
“Ci ho provato…” riprese il vecchio “ho provato a non dormire, e ci sono riuscito!” guardò Will con lo sguardo più stanco del mondo “lo sai a cosa mi è servito? Ad un cazzo!” nella voce la rassegnazione di chi ha affrontato una battaglia tanto epica quanto inutile.
A tentoni cercò la sedia dietro alla scrivania e ci si sedette, abbassò lo sguardo e cominciò a raccontare.
“Circa due mesi fa, tuo padre trovò questo libro, forse sarebbe più giusto dire che il libro trovò tuo padre, era tra i libri consegnati in giornata ed ancora da sistemare sugli scaffali, ne venne affascinato e lo aprì. Pagina trenta”.
Il tono era grave, come quello di un nonno che racconta al suo nipotino una favola.
“Eravamo buoni amici, io e tuo padre, mi raccontò dei strani sogni che gli distruggevano la mente ogni notte, mi disse anche del libro e me lo mostrò, quando lo vidi me ne innamorai. Fu un sentimento feroce, innaturale, lo strappai dalle sue mani e prima che potessi pensare a quello che stavo facendo lo aprì, il foglio era bianco, in basso saettava rosso come l’inferno il numero sessantasei”.
“La notte gli incubi iniziarono anche per me, cadaveri che tracciavano in aria numeri, come un macabro conto alla rovescia, i loro corpi sempre più luciferini mi sorridevano mostrandomi i denti cannibaleschi, i loro sguardi dapprima vitrei mutarono con il tempo trasformandosi in tonde palle di fuoco fiammeggianti”.
Si alzò in piedi, si mosse faticosamente verso Will.
“Da quando questa libreria ha chiuso, sono venuto qui ogni giorno per vedere che fine avesse fatto David, e quando finalmente l’hai riaperta e mi hai detto della sua morte, ho smesso di dormire, volevo ingannarlo. Credevo che senza i morti traccia-numeri il libro non avesse potuto agire, ed invece… stanotte morirò. Dalla prima volta che ho aperto il libro sono passati sessantacinque giorni”.
Will era atterrito, aveva sperato che quell’uomo lo salvasse, invece era soltanto un’altra vittima che avrebbe visto morire prima di lui.
“Non c’è modo ragazzo… nemmeno uno”.
Detto questo si avviò verso l’uscita, né vivo né morto, un ombra che camminava.
“Goditi i tuoi ultimi giorni, siamo condannati”.

Erano passati tre giorni, tre lunghe notti in compagnia dei morti comandati abilmente dai fili del burattinaio.
Era l’ultimo giorno della sua vita, l’ultimo giorno dei suoi ventinove anni.
Da quando il vecchio gli aveva fatto visita nel negozio, Will non aveva più voluto vedere nessuno, aveva smesso di mangiare, pensava solo alle sue parole “Non c’è modo ragazzo… nemmeno uno”..
Si sbagliava, un modo c’era.
Nei tre giorni precedenti aveva passato la maggior parte del tempo a chiedersi come sarebbe voluto morire, avrebbe scelto di non morire affatto se ne avesse avuto la possibilità ma la libertà di scelta non era un lusso che poteva permettersi.
Rapida ed indolore alla fine aveva scelto, la vecchia pistola di suo padre giaceva sul tavolo davanti a lui.
Ora si trattava soltanto di coraggio.
La sua mente era cosi devastata che ormai sentiva il libro cantare, indistintamente e per tutto il tempo “Ci siamo!” con la gioia di un bambino che va a comprare caramelle.
Ormai la copertina non era più di colore nero, anzi non era più di nessun colore, guardandolo attentamente Will vedeva un vortice, era come guardare in un pozzo altissimo, l’oscurità più deprimente, e sul fondo del pozzo c’era un altra voragine ancora più scura e profonda e così continuava all’infinito.
Lo prese in mano e l’aprì, sul primo foglio in basso c’era un “1”, sembrava bruciare. Finalmente poteva vederlo anche lui, si sarebbe ucciso prima ma aveva deciso che voleva vederlo, voleva vedere l’ultimo numero di quel libro maledetto. Voleva vedere la fine.
Ripensò a suo padre, a Susan e al vecchio, quel libro li aveva davvero condannati tutti?
Era davvero il loro boia?
Nella testa i perché fecero largo agli ultimi “Se” della sua vita.
Rassegnandosi all’inevitabile pensò:
tutti siamo condannati, tutti dobbiamo morire prima o poi, è questione di anni per i più fortunati , di mesi, giorni o addirittura ore.
E se questo libro non facesse altro che mostrare il giorno della propria morte?
Davvero la scelta di aprire il libro ad una determinata pagina è del tutto casuale?

Guardò il libro, attentamente.
Considerò che non poteva avere più di 400 pagine, forse anche di meno.
Voleva fare un ultima prova, prima di dire addio a tutto. Si vestì di corsa, afferrò il libro e scese in strada…

Fermò un passante, il libro nero ben saldo nella mano destra, stava per condannare un altra persona?
“Mi scusi” tremava.
Il ragazzo sorrise “Dimmi amico”.
Amico… se solo sapesse quello che stò per fargli.
Alzò la mano che stringeva il libro e lo mostrò al ragazzo.
Quest’ultimo sembrava sorpreso, spostava lo sguardo da Will alla mano, alzava il sopracciglio destro come a voler dire “non capisco amico, dove vuoi arrivare?”.
“L…lo vedi?” farfugliò Will.
“Vedo cosa?”.
“Il libro…questo!!!” adesso il libro era proprio a pochi centimetri dal viso dello sconosciuto.
“Ma che cazzo ti sei fumato amico?” il ragazzo prese a ridere, si batteva la mano sul ginocchio scosso dalle risate.
“Conosco gente strafatta come zucchine ma nessuno che vada in giro con un libro invisibile!” sembrava non potersi controllare più.
“Amico è meglio che smetti… ci vediamo!” e se ne andò ridendo.
Che … cazzo c’è da ridere.

Fermò altre due persone, un anziano ed una donna.
L’anziano vide il libro, ci si avventò contro famelico, Will cercò di trattenerlo ma quell’uomo era posseduto da qualcosa di più forte e potente di semplice vigore umano e glielo strappò di mano. Aprì il tomo a pagina venticinque. Poi come tornato in sè sfogliò il libro incredulo formulando una marea di domande.
Perché non c’è scritto niente?
Perché solo il numero venticinque?
Perché d’un tratto non mi sento bene?
Will non aveva nessuna intenzione di rispondergli, provò pena per quell’anziano.
La donna invece, come il ragazzo poco prima lo ignorò credendolo matto, e forse lo era davvero. Si sedette su una panchina ad ammirare l’ultimo tramonto della sua vita.
Il sole cadeva giù oltre l’orizzonte, il cielo si tingeva prima di arancione e poi di rosso le nuvole come rosa e morbido zucchero filato galleggiavano nell’aria.

“Scusi signore…” era un bambino, poco distante dalla panchina veniva verso di lui.
Will ebbe paura, cercò di nascondere il libro… dentro di se rimbombava insistentemente una frase “Dio… non un bambino ti prego”.
“Non lo nasconda… quel libro è così bello…” il bambino allungava il piccolo braccio per tentare di afferrare il libro. Will lottò con tutte le forze, ma come nel caso dell’anziano il bambino era controllato da qualcosa di più forte di lui, di più forte di tutto.
Il grande burattinaio.
Quando il bambino prese il tomo, Will voltò la faccia dall’altra parte, non ce la faceva a guardare, le lacrime gli bagnavano gli occhi. Quel ragazzino avrà avuto al massimo dieci anni, il corpo era cosi piccolo, la voce così leggera, eppure era condannato, come Will, come Susan.
“Quindici… perché quindici?” chiedeva a Will strattonandogli la manica della T-Shirt.
Will chiuse un occhio permettendo alla lacrima che vi si era formata di cadere lentamente e rigargli il viso. Prese il libro dalle mani del bimbo, con gentilezza, si abbassò sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza e lo abbracciò forte.
Il bambino dapprima diffidente, ricambiò l’abbraccio ma non smise mai di domandare “Perché quindici?”.
Will aveva una gran voglia di rispondergli, ma sinceramente non sapeva perché quindici, o sessantasei, o trenta o dieci. Il destino aveva deciso per loro, o forse erano stati loro a decidere per il destino.
Fece un sorriso, il più rassicurante che poteva, ma cercò di non guardare a lungo il bambino, sapeva cosa doveva affrontare, quindici notti di incubi, morti, e poi?
Si alzò in piedi, diede un ultima occhiata allo zucchero filato rosa volante nel cielo, il sole era quasi scomparso.


EPILOGO

Ritornarono nel suo appartamento, lui ed il libro, come una coppietta felice che si appresta a consumare la prima notte di nozze. Prese la pistola dal tavolo.
Così era destino… sarebbe morto nel giro di poche ore, in un modo o nell’altro.
Il dito indice era poggiato irrimediabilmente sul grilletto, un gesto spontaneo, il boia sorrideva da sotto al suo cappuccio di pelle nera.
“Perché quindici?” non poteva cancellare l’espressione di stupore di quel bambino.
Arretrò il carrello della pistola, introducendo il proiettile nella camera di scoppio.
Il condannato si inginocchiò spontaneamente, mise la testa sopra al ceppo.
“Click” il cane era armato, pronto a far fuoco, avvicinò la canna alla tempia destra.
Will guardò il libro, il condannato guardò il boia.
“Fottiti”, il bracciò scatto da solo si allungò puntando verso il boia, fece fuoco, una sola volta. Il libro sussultò quando il proiettile lo raggiunse aprendo un foro proprio nel centro della copertina.
Will sorrise, finalmente soddisfatto riportò la pistola alla testa, e sparò.
Il boia ferito aveva calato la sua ascia sul condannato.

…Fine…

~ di Fabio su marzo 9, 2008.

3 Risposte to “Pagina Dieci (.3)”

  1. E finisce anche l’avventura di Will e del libro nero.
    Se avete domande, ipotesi, commenti o quant’altro scrivete pure.
    Settimana prossima si inizia una nuova storia, il titolo è preso da una famosissima canzone dei Rolling Stones “Sympathy for the Devil”.

  2. Beh che dire…quasi ci speravo che alla fine in un qulache modo Will si salvasse…certo che il countdown in questa ultima parte era quasi snervante (ti porta quasi a pensare che l’idea di Will di suicidarsi nn e’ poi cosi male).
    Bella la frase “Il destino aveva deciso per loro, o forse erano stati loro a decidere per il destino.”, fa riflettere molto…del resto e’ proprio l’argomento sul quale il racconto punta.
    Devo dire che sto capendo il tuo stile…in tutti i tuoi racconti i finali sono allo stesso tempo ovvi ma non scontati, e creano un senso di incompiutezza del racconto…del resto ho notato che piu alla senso della storia e dei fatti, punti al messaggio che vuoi far passare.

  3. Auron2002:
    Letta anche la terza parte di “Pagina dieci”. Mi è piaciuto e l’ho letto volentieri. Sul finale non ho ben capito una cosa ma mi chiarirai via msn 🙂
    E’ il tuo miglior racconto, anche in termini di idee e fluidità. Mi è piaciuta molto la parte in cui il protagonista scende in strada per mostrare ai passanti il libro.
    Bravo vecio!

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